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Il Ba’th siriano nella morsa tra complotto e riforme

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Sebbene considerata un fenomeno omogeneo, la celebre “primavera araba” possiede molteplici sfaccettature che variano notevolmente a seconda dei contesti di origine. Non esiste, pertanto, una primavera araba, piuttosto esistono diversi movimenti di protesta che acquisiscono delle peculiarità proprie ed autentiche rispetto a date circostanze. Questa considerazione è di estrema importanza per comprendere ciò che accade oggi nel mondo arabo e per vagliare con cautela la raffica di informazioni che quotidianamente giunge fino a noi. Pertanto, sarebbe bene considerare la congiuntura politica della Siria attraverso una chiave di lettura che collochi il paese in un complesso gioco di intrecci e dinamiche internazionali.

Riforme e cambiamento: il discorso di Bashār al-Asad

Dal febbraio 2011, su emulazione delle rivolte tunisine, anche il social network siriano ha iniziato a lanciare appelli alla mobilitazione contro il presidente Bashār al-Asad. Alle proteste il governo ha risposto con un’operazione di forza che, allo stato attuale, secondo diverse fonti, ha causato la morte di circa 1500 persone e centinaia di arresti. I cortei anti-governativi continuano ad investire il paese, tuttavia, le informazioni, pur arrivando a ritmi incalzanti, non sembrano del tutto chiare, e, ancora meno, appaiono rappresentative della “presunta” rivoluzione siriana. L’appello alla rivolta si è basato su un un reale malcontento nei confronti del pluridecennale governo del Ba’th che, specie negli ultimi tempi, ha intrapreso una manovra economica sempre più orientata al libero mercato a danno delle masse popolari. Esiste, dunque, una sincera richiesta di cambiamento e di riforme politiche ed economiche. In Siria, infatti, il peso della crisi internazionale si fa sentire più che negli altri paesi. Priva di risorse naturali, presenta un tasso di disoccupazione elevato che prospetta un futuro incerto per le numerose masse di giovani istruite. Le liberalizzazioni e le privatizzazioni, adottate a partire dal 2000, hanno amplificato le disuguaglianze sociali accentuando il malcontento popolare. Tuttavia, la peculiare congiuntura siriana sembra abbia permesso che queste legittime richieste venissero cavalcate da fattori esterni per accrescere la protesta e per favorire un’eventuale manovra più vicina a posizioni euroatlantiche. In poche parole, interferenze straniere, dalle velleità espansionistiche, avrebbero colto l’occasione della “primavera araba” per alimentare il malumore dei cittadini siriani allo scopo di porre fine definitivamente ad uno dei pochi pilastri dell’antimperialismo nel Vicino Oriente.

Durante questi mesi di disordini, il presidente siriano ha parlato alla nazione due volte. In un primo discorso, il 20 marzo 2011, ha denunciato il ruolo della cospirazione internazionale la quale si sarebbe inserita nel tessuto del paese per alimentare preesistenti focolai di dissenso. Al-Asad, pertanto, ha fatto appello all’autodeterminazione del popolo siriano attaccando l’attività di manipolazione dei mezzi di comunicazione. Questi, infatti, avrebbero contribuito ad accentuare, sul piano mediatico, i caratteri della rivolta riportata come un fenomeno epocale per il paese.

Il 20 giugno 2011, all’Università di Damasco, il presidente ha parlato alla nazione per la seconda volta dall’inizio dei disordini. Il discorso ha descritto le misure di ristrutturazione che il governo intende attuare per rispondere alle legittime istanze dei cittadini. Lo stesso al-Asad, infatti, non nega la liceità delle domande dei manifestanti, tuttavia, ha sottolineato il ruolo del dialogo nazionale come strumento di risoluzione dei problemi del paese. Pertanto, lo scopo del pacchetto è quello di consolidare il senso di rappresentatività delle istituzioni. In aggiunta, la manovra di rinnovamento mira alla creazione di un sistema che veda la partecipazione di un maggiore numero di partiti e, quindi, all’eventuale riforma elettorale e costituzionale. Al fine di consolidare la fiducia popolare nei confronti dell’ordinamento siriano, il presidente ha rimarcato la volontà di istituire nuovi canali di comunicazione diretta con i cittadini. Inoltre, priorità è attribuita alla lotta contro la corruzione, che sarà perseguita attraverso l’istituzione di una Commissione ad hoc.

Pertanto, l’obiettivo, come annunciato da al-Asad, sarà quello di rispondere alle necessità dei cittadini scongiurando compromessi con il presunto complotto internazionale. In sintesi, dialogo, rappresentatività e responsabilità politica sembrano essere i principi a cui intende ispirarsi l’intero processo di rinnovo del paese. Non a caso, a meno di un mese dalle parole del presidente, il governo ha discusso su una proposta di legge finalizzata alla semplificazione della macchina amministrativa. Migliorare la qualità e l’efficienza dell’apparato burocratico, rafforzare la decentralizzazione e il controllo popolare sulle unità amministrative costituiscono una parte delle misure discusse di recente e, quindi, un tentativo di comprovare la capacità di risposta del governo alle richieste del popolo.

La Siria nel contesto internazionale

La Siria ricopre una posizione di peculiarità nel contesto internazionale. La classe governativa del paese, infatti, è riconducibile al Ba’th (Rinascita) che, fin dalla presa del potere nel 1963, sposò il modello sovietico rappresentando l’alternativa rivoluzionaria dello scenario bipolare nel Vicino Oriente. A partire dalla sua nascita, il Ba’th siriano, insieme alla sezione del Ba’th iracheno, cercò di conciliare nazionalismo arabo e questione sociale, il programma, infatti, si basava sui concetti di unità, libertà e socialismo. Oltre ad un marcato nazionalismo arabo secolare, il Ba’th abbracciò una linea fortemente antimperialista in virtù del principio di autodeterminazione del popolo arabo. Attualmente, la Siria rappresenta l’unico paese superstite nella campagna occidentale iniziata nel secondo dopoguerra contro il blocco sovietico e che avanza fino ai giorni nostri. La sua peculiarità è data, in particolar modo, dal perseguimento di una politica in difesa del Libano resistente e della causa palestinese. Non a caso, il presidente al-Asad, secondo schemi imperialistici, è annoverato tra i “dittatori scomodi”, accanto, dunque, al paese “canaglia” per eccellenza, l’Iran, nonché fedele alleato di Damasco.

Nel 2000, la successione di Bashār al-Asad venne salutata come la “primavera di Damasco”, parallelamente alla “primavera di Praga” del presidente cecoslovacco Alexander Dubček. Infatti, appena eletto, il presidente siriano annunciò l’avvio di un pacchetto di misure che, tuttavia, venne sospeso in seguito allo scoppio dell’Intifada. A questa fece seguito l’11 settembre e, quindi, l’occupazione dell’Afghanistan e quella dell’Iraq. Nel 2005, l’assassinio di Rafīq al-Harīrī, ex premier libanese, contribuì ad isolare ulteriormente la Siria la quale dovette fronteggiare nuove sfide durante l’occupazione israeliana del Libano nel 2006 e nel corso dell’operazione Piombo Fuso del 2008 contro la Striscia di Gaza. In questo susseguirsi di eventi, la Siria ha pagato un prezzo molto alto per la sua vicinanza alla causa araba e, in primis, a quella palestinese.

Le manifestazioni del 2011, pur portando con sè sincere richieste di cambiamento, debbono essere inserite in un quadro di analisi ben più ampio che prenda in considerazione le mosse e i programmi degli attori internazionali. Come anticipato, le proteste hanno avanzato delle richieste ragionevoli, tuttavia, fattori di condanna internazionale hanno agito insieme al preesistente malcontento popolare. Le politiche di privatizzazione, inaugurate negli anni Settanta, hanno aperto l’impreparata economia del paese ai capitali occidentali costruendo le basi per il divario sociale tra fasce della popolazione, una forbice che si è amplificata durante le recenti politiche economiche. Inoltre, la gestione economica fortemente statalista del Ba’th edificò un sistema privilegiato per alcuni gruppi di interesse, tra cui dirigenti di partito, sindacalisti, imprenditori locali e manager del settore pubblico. Questi meccanismi furono la causa di un sistema di corruzione tollerato dalle stesse istituzioni e che rappresenta, oggi, una notevole fonte di malcontento popolare. Anche la crisi internazionale e il collasso del sistema economico siriano sono intervenuti ad accentuare l’instabilità del paese. Tuttavia, nella precarietà delle condizioni in cui verte la Siria, non sono trascurabili gli elementi che guardano con favore ad un’eventuale rottura dell’alleanza con l’Iran e dell’intesa con Hizb Allāh e Hamās.

Per integrare l’analisi, inoltre, è bene considerare un altro elemento che, fino ad ora, ha avuto poco spazio nei media occidentali. Ai cortei anti-governativi, infatti, si sono aggiunti quelli a favore di al-Asad. La solidarietà manifestata nei confronti del presidente non stupisce se pensiamo alla forza ideologica della Siria, consolidata negli ultimi decenni in seguito alla sua politica di condanna alle interferenze esterne. Inoltre, uno dei pilastri di legittimazione dello stesso governo è la solida consapevolezza nazionale e patriottica del paese. La Siria, infatti, possiede delle radici fortemente ideologizzate riconducibili, in parte, allo storico progetto della “Grande Siria” per il quale i nazionalisti si batterono già in epoca ottomana e, in un secondo tempo, contro i tentativi francesi di dividere il paese dalla regione del Libano.

A proposito di media internazionali, come in numerosi altri contesti, anche in quello siriano, gli strumenti mediatici hanno concorso a danneggiare l’immagine del paese scatenando una campagna mistificatrice dei fatti. Non è la prima volta che ci si trova davanti ad un evento di questo tipo, le armi di distruzioni di massa di Sadām Husayn ne sono solamente un esempio. A queste operazioni sembra appartenere anche quella campagna che vorrebbe scatenare allarmi descrivendo la situazione siriana come uno scontro civile tra confessioni religiose. Tuttavia, sebbene la famiglia al potere appartenga alla minoranza alawita, il carattere laico del paese è ben fermo e non risulta che la Siria abbia mai rischiato di scivolare in scontri inter-religiosi.

In conclusione, sembra difficile comprendere quanto le misure annunciate dal presidente siano capaci di calmare i cortei e di contenere le insidie esterne, non ci resta che vedere se e che effetto avrà la nuova manovra del governo sui diversi fattori in gioco.

Laura Tocco è dottoranda presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari.

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